Manuel Piredda poteva essere già morto quando è divampato il fuoco. È la verità, ancora da confermare, emersa dagli esiti degli esami medico legali sul corpo del 27enne sardo che nel 2011 ha perso la vita nel rogo che ha sfigurato sua moglie, Valentina Pitzalis, e che secondo le indagini, avrebbe appiccato lui stesso. “Valentina – dice mamma Roberta, che dal 2016 lotta per far riaprire le indagini sulla morte del figlio – non è vittima di Manuel, perché un morto non può versare benzina e tentare di uccidere nessuno”.
Ripartiamo dai fatti. La notte del 17 aprile 2011 un incendio divampato nell’appartamento di Manuel a Bacu Abus, fa accorrere i vigili del fuoco che estraggono Manuel Piredda e sua moglie Valentina Pitzalis. Per Manuel non c’è nulla da fare, l’uomo muore nell’incendio mentre Valentina finisce in ospedale con il volto deturpato dalle fiamme, una mano amputata e l’altra gravemente danneggiata. Secondo la ricostruzione della Procura, che si basa sulla testimonianza di Valentina, unica sopravvissuta, Manuel avrebbe appiccato il fuoco per bruciare viva sua moglie, da cui si stava separando e sarebbe molto intrappolato tra le fiamme. Il caso viene chiuso, ma senza autopsia sul corpo di Manuel, in quanto ‘reo’. Ma è impossibile accertare questa ricostruzione senza esame.
Nel 2016 i signori Piredda sporgono denuncia contro Valentina, la vittima, accusandola di omicidio. “Hanno fatto passare nostro figlio per mostro, mentre invece era un ragazzo dolcissimo” dicono alla stampa. L’inchiesta viene riaperta dalla Procura sarda, ma stavolta l’esame che all’epoca non fu ritenuto necessario viene richiesto ed effettuato nel 2018. Nel frattempo Valentina, che vive una condizione estremamente delicata e drammatica per le menomazioni subite da quel tragico incendio, è diventata un simbolo della lotta alla violenza di genere, testimonial di campagne di sensibilizzazione e autrice del libro Nessuno può toglierti il sorriso, edito da Mondadori.
Secondo gli esiti degli ultimi esami, Manuel sarebbe morto per ‘asfissia meccanica’, quindi per soffocamento. Tuttavia, gli stessi esami non hanno rilevato la presenza di fumo nei polmoni, pertanto non sarebbe morto per le esalazioni dell’incendio e neanche per le ustioni, che avrebbero attinto il corpo sul lato frontale, come se il ragazzo si trovasse in posizione supina e verosimilmente incapace di reagire. Come se fosse già morto, insomma.
In conclusione, spiega la criminologa Elisabetta Sionis, consulente della famiglia: “Manuel non sarebbe morto né di infarto né per le ustioni, ma per una terza causa. Se confermato, ciò potrebbe escludere le sue responsabilità nei confronti di Valentina” ma i condizionali sono d’obbligo, perché prima dell’udienza del 18 marzo, quando ci sarà un confronto tra i tecnici che hanno effettuato gli esami non ci sono certezze. “Non puntiamo il dito contro nessuno, vogliamo solo sapere come è morto nostro figlio” dicono Roberta Mamusa e Giuseppe Piredda. ” Ma non ci fermeremo, fino all’ultimo respiro, non abbiamo altro, non ci resta nulla da perdere”.